Il tesoro del cuore

 In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno.  Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.  Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito.  Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!   Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».  Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?».  Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi.  Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire”, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli.  Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche.  A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più».

 

 

Ti sei piazzato, fissato, affossato in questa vita, su questa terra.  Come se fosse l’unica, come se fosse la sola. Come se fosse la tua.   Tutto qua. Tutto finito, tutto concluso, tutto chiuso.  Tutto qua, devi fare. Tutto qua, devi avere. Tutto qua, possedere.  Qua, rimanere.

Invece no.  Sei  in viaggio.  Questa vita è un viaggio.  Hai uno zaino, una valigia e un soggiorno,  come in un albergo.  In attesa di arrivare alla meta.  La meta è la casa di Dio Padre.  È la tua casa, il tuo cuore, il tuo tesoro.

Le cose che hai nella valigia,  quelle che possiedi,  se sono troppe, troppo cariche, troppo grandi,  ti pesano, ti frenano, ti rallentano, ti bloccano, ti chiudono e non ti fanno arrivare.

Pronto.  Non rimandare, non tergiversare, non scappare.  Pronto con il vestito del viaggio. Stretto ai fianchi.  Perché non inciampi.  Leva gli ostacoli che ti impediscono.  Rimuovi quello che ti fa cadere.  Taglia lo strascico.

Con la lampada accesa.  Con l’amore che arde nel tuo cuore. L’amore per il tuo Dio. Proteggi la fiamma, nelle mani del tuo Dio.  Alimenta la fiamma con l’olio, con l’unzione, con l’azione dello Spirito Santo.

Sveglio.  Non ti addormentare . Non ti chiudere.  Non ti lasciare andare.  Non rinunciare. Non morire.  Sveglio nel cuore. Sveglio nel desiderio. Sveglio nell’attesa.

In guardia.  Attento, vigile,  in attesa.  In guardia come la sentinella nella notte. Con gli occhi aperti e le orecchie tese, per riconoscere i segni del Signore che viene.  Attento a riconoscere il Signore che viene.  Attento a non perderlo.  Attento non lasciati scappare questa occasione.  Non la puoi perdere, non ne hai altre. Non c’è un’altra vita, non c’è un’altra volta, non c’è un altro Dio.

Fedele.  Amministra bene quello che ti è stato dato.  Rispetta Dio, che te lo ha donato.  Non metterti al suo posto. Non sederti sul suo trono.  Non proclamarti padrone degli altri. Non rovinare, umiliare, gli altri.  Non ti ubriacare  di te stesso.

Saggio.  Quello che ti è stato dato, fa parte di Dio, del progetto di Dio.  Non può essere perso,  non può essere dimenticato,  non può essere perduto.

Può essere moltiplicato, vivificato, santificato,  solo in Dio.

 

 

 

 

Ciò che possiedi

In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede». Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».

 

 

 

Il vestito più bello, la macchina più bella, la casa più bella.  Di più.  Più degli altri. Sempre di più. Tanto. Tutto.   A qualunque costo, ad ogni costo. Costi quello che costi. Anche se ti costa il cuore, l’anima, il fratello.

Assorbi, divori le cose,  ma sono loro che assorbono e divorano te.  Prendi le cose,  ma sono loro che prendono te.  Possiedi le cose,  ma sono loro che possiedono te.  Consumi le cose,  ma sono loro che consumano te.  Diventi come loro.   Vali, solo se hai.  Vali, quando hai.  Vali, quanto hai.

Come il ricco, ti sembra di aver riempito, arricchito, salvato la tua anima.  Invece l’hai  impoverita, umiliata, ferita, venduta, perduta.

Come il ricco, ti sembra di possedere tutto, di non avere più bisogno di niente.  Invece non possiedi nulla. Non è tua l’aria che respiri, la luce, il calore, i colori, la vita. Tutto ti è stato donato.

L’unica cosa che possiedi veramente è il tuo dolore, è la tua fragilità, la tua precarietà, la povertà,  l’errore, la debolezza.  Questa è l’unica cosa che ti appartiene veramente,  che è solo tua.   Che puoi donare a Dio, che ti apre a  Lui e ti porta a  Lui.

In Lui, nel suo cuore,  trovi la tua ricchezza, il tuo tesoro, il tuo tutto.  Lui è il tuo granaio senza fine,  nel quale la tua anima si può nutrire, riposare, fortificare, salvare.

Quando vivi nel suo cuore,  puoi  vedere gli altri con gli occhi di Dio.  Sono tuoi fratelli nella povertà, nella fragilità, nella precarietà, nel dolore, nella debolezza. Puoi condividerla con loro, puoi viverla con loro.  Allora diventa  forza, potenza, ricchezza, unità, solidarietà, condivisione, fratellanza, uguaglianza,  amore vero, pace vera.

È l’unico tesoro che conta, è l’unico tesoro che rimane, è l’unico tesoro che vale.  È l’unico tesoro veramente tuo.  Lo hai  cercato, voluto, riposto in Dio.  Li lo troverai. Lì ti aspetta.

E  vivrai  in Dio,  ora e per l’eternità.

 

 

 

 

 

Padre nostro

Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite:  “Padre,  sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione”».Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”; e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono. Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto.  Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!».

 

 

 

A volte ti senti solo.  Privato di tutto.  Orfano di tutto.  Ti sembra di non essere nulla. Di non contare nulla. Per gli altri, per nessuno, anche per te.  La tua voce è inascoltata, il tuo grido soffocato, il tuo bisogno rifiutato. Da tutti, dagli altri, anche da te.

Sei disperato, a chi domandare, a chi chiedere, cosa fare?

Vai dal Padre, da tuo Padre.  Dal tuo primo Padre, dal tuo vero Padre.  Da Dio.

Vai,  chiedi, urla, grida.  Cerca,  batti,  bussa, alla porta del suo cuore.  Chiamalo, invocalo, pregalo.  Chiamalo con gli occhi, con le mani, inginocchiati con il tuo corpo.  Batti alla sua porta, con i battiti del tuo cuore.  Con battiti di amore, potenti, insistenti, continui.  Inchiodati, siediti, deponi la tua anima alla sua porta.  Non andare via, rimani lì,  fino a quando non ti avrà aperto.  Perché il suo cuore,  è la tua casa.

Chiamalo Padre, benedici il suo nome, fai la sua volontà.  Perdona i tuoi fratelli, che sono anche i suoi figli.

Allora ti aprirà il suo cuore e sgorgherà lo Spirito Santo.   Lo Spirito che ti colmerà, ti consolerà e ti parlerà del  Padre.  Entrerai nel suo cuore e  lui entrerà nel tuo,  e dimorerà nel tuo.

Ti farà  suo figlio,  figlio di Dio.

In terra e in cielo. Ora e per sempre.

 

 

 

 

 

Marta e Maria

  In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò.  Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi.  Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».

 

 

Quando Gesù  entra a casa tua,  tu come lo accogli?

Come Marta,  devi fare, devi dire, devi impostare.  Devi  fare quello che  hai in testa tu,  quello che gli altri si aspettano, quello che si vede.   Lo tratti come tutti gli altri.

Sei  concentrato su di te, non su di lui.  Sei attento a quello che fai tu, non a  quello che fa lui. Sei obbligato a quello che devi, non a quello che ti chiede lui.  Ascolti te stesso,  non ascolti lui.  Guardi  te stesso e non guardi lui. Sei concentrato su di te, come se tutto il mondo gira intorno a te e tu ne sei l’artefice, la guida, il motore. Come se tu sei la parte migliore.

Se qualcuno non ti gira attorno, se qualcuno non ti segue, diventa estraneo, incapace, disattento.  Allora lo giudichi e lo accusi di non fare come te, di non essere come te, di non servire come te.  Anzi, non basta, fai di tutto per distoglierlo da quello che fa.  Cerchi gli alleati,  usi gli alleati.  Arrivi ad usare anche il Signore,  per metterlo al tuo servizio.

Gesù te lo dice. Ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una sola c’è bisogno. Una sola cosa conta, una sola cosa basta. Il tuo Signore. È lui il centro, il motore, il tutto.

Come Maria,  fermati,  placati,  riposati.  Mettiti ai suoi piedi, davanti a lui.  Guarda lui, ascolta lui, riempi  di lui il tuo cuore.  Ecco la cosa più importante, ecco la cosa migliore.   Il Signore  viene nel tuo cuore e ti parla e il tuo cuore lo riconosce e batte per lui.  Il battito del tuo cuore risponde al battito del suo cuore per te. Palpita per lui e gioisce di lui e in  lui.

Allora ogni sua parola diventa vita, in te. Diventa seme. Diventa frutto. Solo allora riesci a fare, ad agire, a realizzare quello che è stato seminato, da Dio stesso.  Solo allora riesci a fare quello che Dio vuole e si aspetta da te.  Solo allora riesci a portare anche agli altri quello che ti ha dato.  Solo allora riesci a servire veramente il Signore.

E avrai scelto la parte migliore.   E nessuno potrà mai più portartela via.  Perché è già con Dio,  nell’eternità.

 

 

 

 

Il tuo prossimo

In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».  Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».

 

 

La croce che ti salva, è fatta di un legno verticale, che va verso Dio e di un legno orizzontale, verso il prossimo. Le due cose si incrociano, si integrano, si completano. L’amore verso Dio, senza l’amore verso il prossimo, non fa la croce. Non diventa croce.

Chi è il prossimo? Come lo ami? Gesù te lo spiega.

È quello che il Signore ti mette sulla strada, quello che incontri, quello che vedi. È  quello a cui passi vicino, è quello a cui  sei più  vicino. È colui che è depredato, truffato, umiliato, offeso, calpestato. È colui che è ferito, sanguinante, pestato, dolorante. È colui che è distrutto, spezzato, rovinato. Colui che è abbandonato, isolato, rifiutato, denigrato.

Come lo ami? Cosa fai?

Come il sacerdote e il levita.   Lo guardo solo, e me ne vado. Che c’entra con me? Ho altro da fare, più importante. Non ho tempo per lui. Non deve prendere il mio tempo. Non deve impedire il mio cammino, non mi deve bloccare, non è il mio scopo, non è la mia meta. È un ostacolo, un intralcio, un fastidio.

Non è il mio compito. Nessuno me lo ha detto, nessuno me lo ha comandato. Non è prescritto. Devo eseguire solo il mio compito. Devono essere preciso, pulito, puro, perfetto. Se lo aiuto, mi sporco, mi macchio, mi contamino, e non sono più puro e non sono più perfetto. Mi interessa soltanto di non rovinare la mia immagine, la mia figura, la mia scena.

Poverino, mi fa pena, uno sguardo di pietà soltanto. Una telefonata, basta. Una parola di convenienza, una parola all’occorrenza, giusto per far vedere che mi sono interessato.

Non mi fermo perché non me lo ha chiesto. Se me lo chiedeva, lo aiutavo. Deve essere lui a chiedere. Allora io rispondo, ma solo per convenienza. Ma non mi deve chiedere altro. Solo una cosa, solo per poco e solo per una volta.

Non mi fermo perché non mi interessa, non lo conosco, non è mio amico, mio parente, mio conoscente. Avrà fatto qualcosa di male. È colpa sua, peggio per lui.

Non è colpa mia se non mi fermo, è colpa sua che si è fatto picchiare. Doveva essere più  furbo, come me. Non doveva finire nelle mani dei briganti. Non doveva trovarsi lì, e farmi sentire in colpa.

Perché mi devo fermare? Che ci guadagno? È un poveraccio, non ha soldi. Anzi ci rimetto, mi toccherà darglieli. Di sicuro perdo tempo e perdo soldi. Chi me lo fa fare?

Poi,  chi vede che non mi fermo? Non c’è nessuno. Nessuno si accorgerà che non mi sono fermato. Lui sta male, io faccio finta che non ci sono.  Faccio finta che non ho visto, non ho sentito, non sono proprio passato di qua. Anzi, cambio strada, così nessuno vede che ho visto.

Meglio non intervenire, perché ci posso rimettere. Mi può creare problemi. Mi vado  ad  infilare nei guai. Già ne ho tanti! Ognuno ha i suoi.

Non voglio avere a che fare con il dolore, con le ferite, con la violenza. Non la voglio vedere, non la voglio toccare. La nego. Non è stato picchiato, se l’è fatto da solo. È caduto.

Se prendo le sue difese e poi se la prendono anche con me? Se passo dalla sua parte, possono farmi la stessa cosa. Posso fare la sua fine.

Quel poveraccio è uno sfigato. Sta dalla parte dello sfigato. Mi devo distinguere, non devono avere a che fare con gli sfigati, io sono eccellente, sublime, esaltato. Non posso passare dall’altra parte. Che si faccia aiutare da quelli come lui.

E passi oltre e ti allontani.   Ami il prossimo,  se fai come il samaritano.

Non lo conosce, non è un suo amico, è un estraneo, non c’entra per niente con lui. Ma lo unisce il dolore. Il dolore è uguale per tutti, il dolore è uguale in tutti. Il dolore ci unisce tutti. Ci fa tutti fratelli.

Com-passione. Soffre con lui. Soffre per quella ferita, con lui, in lui. Ci sei anche tu in quella ferita. Ti ricorda la tua ferita. Assomiglia alla tua ferita. È lo specchio della tua ferita. Se te ne prendi cura, curi anche la tua. Se la guarisci, guarisci anche la tua.

Gli si fece vicino. Non ha mandato soldi. Non ha mandato altri. È andato lui di persona, vicino, accanto, davanti, di fronte. Concretamente.

Gli fascia le ferite. Guarda quelle ferite da vicino e le tocca, le pulisce, le ripara, le riempie, le abbraccia. Toccare le ferite è toccare la parte più profonda, più importante più intensa di una persona. È entrare in una relazione vera con lei. È quello che Gesù fa con te. È quello che tu fai con lui, quando ti prendi cura di una persona sofferente. In quelle piaghe, in quel dolore, in quella croce, c’è il Signore che ti ha aspettato su quella strada. C’è il Signore che ti ha incontrato in quella strada. C’è il Signore che tocca il tuo cuore, in quella strada.

Proprio perché è il Signore, è Gesù, ferito, piagato, sofferente, non lo lasci lì. Lo prendi su di te e lo porti in un posto sicuro, perché lui è il Figlio di Dio, il tuo tesoro, la tua salvezza. Gli doni le tue energie, il tuo denaro, il tuo tempo, e ritorni per farlo ancora e meglio, fino in fondo.

Se vuoi amare il fratello veramente, fai come il samaritano. E Gesù lo farà con te. Veramente, concretamente, totalmente.

 

 

 

 

 

Operai nella messe

In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra.  Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”. Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: “Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”. Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città».  I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». Egli disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli».

 

 

Quanto tempo, per cose inutili. Quante energie spese, per cose vane. Quanto fiato sprecato, per cose vuote. Ti usi e ti consumi, per qualcosa che finisce. Ti usi e ti consumi, per qualcosa che svanisce. Giri a vuoto.

Puoi far diventare la tua vita un’opera d’arte. Straordinaria, intensa, piena, degna, eterna. Puoi far diventare la tua vita un’opera d’arte di Dio. Puoi diventare un operaio di Dio. Il Padre ti ha scelto, chiamato, mandato a realizzare la sua opera. Gesù ti indica la strada e ti dice come fare.

Operaio nella sua messe. Devi andare in mezzo al suo popolo, a mietere quello che il Padre ha seminato nei cuori e nelle anime. A prenderti cura di loro, a raccoglierle, a riunirle insieme, a farle diventare covoni, grano, farina, pane, eucaristia.

A due a due. Non ti manda da solo. A due, nella relazione nella condivisione. Per vivere l’amore, la fraternità, l’unità, in Dio. Per essere comunità, popolo di Dio, dove Dio si rivela.

Come agnello in mezzo ai lupi. Non lupo. Non diventare come loro. Non puntare sul terrore, sull’inganno, sulla prepotenza, sulla ferocia, sulla violenza. La tua forza sia la mitezza, l’umiltà, la semplicità, la trasparenza, la verità. Così vinci il lupo che è in te, e che è in loro.

Non portare  borsa. Non contare sul denaro. Non è con il denaro che annunci Dio. Non posare, appoggiare il tuo cuore sul denaro. Conta sulla provvidenza di Dio. È lui il tuo tesoro.

Né sacca. Liberati di quello che ti pesa sulle spalle. Delle tue preoccupazioni, delle tue cose. Non permettere a niente di rallentare la tua marcia. Non portare dietro i tuoi idoli segreti, mascherati, nascosti, anche a te stesso.

Né sandali. Non ti appoggiare su qualcosa di tuo. Non avere come base qualcosa di tuo. Non ti appoggiare sugli altri. I tuoi piedi abbiano come base Dio. Solo allora possono andare sicuri sulla strada di Dio.

Non fermarti a salutare nessuno. Non ti far fermare, bloccare, incastrare, dalle convenienze, dalle opportunità, dalle apparenze. Non ti far deviare, rallentare,  imprigionare, da nessuno. Vai diritto alla tua meta. È troppo importante e troppo urgente quello che vai a fare, che non c’è tempo per i saluti, e per tergiversare.

Entrate nelle case. Entra nella casa, nella situazione concreta della persona. Nel posto dove vive, nel momento che vive. Dite “pace”. In quella storia, porta la pace, l’unione, l’amore, il perdono. Diventa un operaio che ricuce i pezzi dei cuori, riempie le fratture, ricompone le persone. Riporta identità, integrità, dignità, al cuore e all’anima.

Restate in quella casa. Non passare per caso. Non passare per finta. Non passare al volo. In quella storia, in quel cuore, rimani. In quella situazione concreta porta Dio, in modo stabile. Perché Dio non diventi un’occasione fortuita, un incontro occasionale, un ricordo evanescente, una memoria virtuale. Rimani, perché Dio condivida con loro tutte le cose, in quella casa, sempre.

Guarite i malati. Prenditi cura delle ferite, del corpo, del cuore e dell’anima. Concretamente. Non passare oltre. Porta dentro a quelle ferite, lo Spirito Santo.  E potrai guarirle e annunciare il Regno di Dio.

Se non vi accolgono. Se non  vogliono Dio e lo allontanano e lo escludono dalla loro casa e dai loro cuori, non rimanere li. Non ti alleare con chi rifiuta Dio. Non diventare complice del suo rifiuto. Scrolla da te tutto quello che ti ha attaccato, tutto quello che hai preso, tutto quello che te lo ricorda, tutto quello che ti riporta da lui.

Operaio di Dio.  Con te,  Dio vince il male.  Dio trionfa e il male sprofonda.

E la tua opera e il tuo nome non  sono scritti nel libro del mondo, ma sono scritti nel libro dei cieli, nel libro della  vita,  per l’eternità.

 

 

 

Progetto oratorio

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Proposta di Progetto educativo dell’Oratorio  parrocchiale

Premessa.

La parola oratorio viene dal latino “orare” che significa pregare. Inizia nel 1550 con San Filippo Neri con la finalità di creare una comunità di religiosi e laici uniti nella carità e nell’amore, come gli apostoli e a questo venivano educati i ragazzi. Nel 1800 Santa Maddalena di Canossa istituisce case per le ragazze di strada per istruirle alla religione e alla professione. Nel 1840 Don Bosco fonda gli oratori per educare la gioventù povera e abbandonata, istruendola nella religione e nella professione, con la finalità di far diventare il ragazzo un onesto cittadino nella società, un bravo cristiano nella chiesa e un fortunato abitante del cielo.

Contenuto.

L’oratorio non è un “Centro di aggregazione giovanile” o un “Ricreatorio” o uno “Spassatorio”; si differenzia da questi per la qualità, per la sua natura. L’oratorio è un luogo di formazione umana e cristiana. È il posto dove il bambino impara a conoscere se stesso attraverso gli altri, dove le proprie potenzialità e energie vengono fuori, vengono e-ducate (tirate fuori), dove scopre la propria missione umana. Ma anche il posto dove impara a mettersi in contatto con il divino, con il trascendente, dove  impara a dare del tu al Signore, ad entrare in relazione con lui, dove impara la fede.

L’oratorio non è solo un luogo fisico. E’  uno spazio emotivo ed educativo. L’oratorio è nel cuore di chi accoglie il bambino o il ragazzo, è negli occhi di chi lo guarda con gli occhi di Dio, è nell’anima di chi si prende cura di lui e si apre a lui. Se il bambino trova un posto così, può aprirsi veramente, può sentire una relazione nuova, una famiglia nuova, una casa nuova, un posto diverso dove le cose che contano sono nella profondità del  cuore.

Finalità.

Lo scopo ultimo a cui tende l’oratorio è  l’“educare alla vita e alla fede”. Il ragazzo quindi non è un oggetto, uno strumento per fini sociali, culturali o economici. È lui stesso il fine, è la sua formazione vista nella sua globalità e interezza. Formazione del corpo, della mente, delle relazioni sociali, ma anche dello spirito. In pratica il bambino è aiutato a crescere, a far venir fuori le sue vere potenzialità, le sue capacità che sono nel suo DNA psichico e che gli sono state date per raggiungere la sua missione nel mondo e nel disegno di Dio. L’oratorio quindi ha il compito di  e-ducare, ( dal latino: ex = fuori e ducere = portare)  di portare fuori quello che è già dentro il bambino, come un seme, e di creare le condizioni per farlo crescere in tutte le sue parti.

Ma  il motore principale della vita vera, nella gioia vera e della relazione vera, è  nel crescere anche nella fede, nel rapporto con chi lo ha creato, con chi lo ama di un amore infinito, con chi lo ha pensato, voluto e amato fin dalla creazione del mondo, con chi ha predisposto per lui un disegno di salvezza, con Dio Padre. Senza questo motore principale la formazione umana non è completa, perde di energia, di gioia, di tensione, di senso.

Metodo

Per attuare la formazione alla vita e alla fede è necessario stabilire i cardini, i riferimenti centrali a cui rifarsi e in cui ritrovarsi. I puntelli che permettono di capirsi e che segnano lo stile dello stare insieme. Sono come gli indicatori della strada, i segnali stradali, il modo di relazionarsi, il modo di sentirsi, di ascoltarsi, di viversi. Questi segnali vanno spiegati bene ragazzi, devono essere esposti in modo visibile e colorato  sempre,  per poter essere assimilati e vissuti.

Cardini per la formazione alla vita

Accoglienza.

Essere aperti. Tutti devono essere aperti all’altro. Ognuno deve accogliere l’altro come un amico. Ancora di più come un fratello della stessa famiglia, della stessa casa.

Amicizia.

 L’amicizia è lo stile della relazione positiva. L’amicizia è fiducia, è stima, è affetto. La stima va data sempre e comunque anche se l’altro non è simpatico. Bisogna diventare amici della parte dell’altro che è buona, che ha sofferto, che ha paura, che è triste e si sente abbandonata. Quella parte ha bisogno di affetto, di cure e di attenzione e solo così si apre.

Verità.

La sincerità fa parte dell’amicizia. L’amico non dice il falso. La menzogna è il tradimento dell’altro, è la mancanza di fiducia, è un negare l’altro e considerarlo nemico. È un far fuori l’altro dalla propria vita. È egoismo e chiusura e distrugge la relazione.

Semplicità e umiltà.

L’amicizia vera si basa sulla semplicità. Sono le cose semplici piccole e umili che ci fanno diventare simpatici e fortificano il rapporto vero. Le parti umili, difettose, povere, semplici, ci fanno sentire veramente veri. Nasconderle con l’onnipotenza, la grandiosità, il dover essere per forza i primi, i migliori, i più forti, quelli che non sbagliano mai e ottengono tutto a qualunque costo, ci fa diventare finti, falsi e lontani da quello che siamo veramente. È un andare sulla strada sbagliata, è cercare qualcosa che non fa parte della nostra vita e ci fa stare male e ci leva la luce e la gioia dentro.

Fedeltà.

L’amico è fedele. Il patto di affetto, di stima, di fiducia, conta di più della propria convenienza. Rimanere fedeli significa imparare a stare dentro una scelta, dentro a un ideale, dentro i confini che abbiamo scelto. Significa essere fedeli a se stessi prima di tutto. Significa avere stima per sè, coraggio, lealtà ed essere fondati, radicati in qualcosa di stabile e di solido. Significa essere uomini veri.

Condivisione.

Quello che abbiamo non ci è stato dato per tenerlo rinchiuso dentro di noi. Ogni tesoro prezioso che abbiamo trovato nel nostro cuore, ogni capacità che c’è stata donata (talenti) va con-divisa, messa in relazione con gli altri, va fatta partecipare agli altri. Se la capacità viene messa nella relazione con gli altri, non solo non viene persa, ma si consolida, cresce e si fortifica, si cesella.

Unità.

Tutti siamo figli dello stesso Padre nei cieli, che ci ama tutti nello stesso modo. Nessuno quindi può essere escluso, o evitato, o rifiutato per nessuna ragione. Siamo tutti una stessa famiglia nell’oratorio. Come i moschettieri  o i cavalieri della tavola rotonda, ci aiutiamoli e ci difendiamo. “Tutti per uno e uno per tutti”. Siamo una unità con una identità precisa e andiamo tutti verso la stessa meta che è il Padre.

Servizio.

Uniti come figli dello stesso Padre, come una nuova famiglia che si fa sentire e vedere anche all’esterno, nella comunità parrocchiale e nella società. Essere per gli altri, significa servizio, missione. Questo è il test di verifica del funzionamento dell’oratorio, quando esce allo scoperto, quando si fa sentire, quando viene fuori e diventa segno, testimonianza, missione.

Servizio per la Chiesa, collaborando con la comunità parrocchiale nell’animazione della Messa e nelle iniziative pastorali. Servizio per la comunità sociale dove si vive. I ragazzi possono inventare ed attivare iniziative a favore dei più deboli, dei piccoli, dei poveri,  dei bisognosi, degli abbandonati del paese.

Cardini per la formazione alla fede. 

Gesù Modello e Maestro.

Se manca questo riferimento anche la formazione umana diventa arida e svuotata. Gesù è il cardine principale di tutta la formazione integrale. È Lui il Modello a cui rifarsi, è Lui il vero Animatore, l’Educatore. È Lui l’indicatore della strada maestra personale e del gruppo. Per sapere come  fare, come risolvere problemi, dove andare, che senso dare alle cose, bisogna domandarsi: ” cosa ha detto Gesù su questa cosa? Come si comporterebbe lui? Che mi consiglierebbe se fosse qui?” Gesù come Modello significa imparare a pensare come Lui, ad essere come Lui. Essere così fa diventare speciali tutte le nostre relazioni, la vita diventa bella, gioiosa e la pesantezza della fatica e del dolore trova un significato.

È lui il vero Maestro, Colui che sa guidarci perché  ci conosce in profondità,, ci accoglie e ci accompagna in ogni momento. È lui il vero Educatore, quello che c’insegna il metodo che funziona di sicuro, è lui il Metodo stesso. Il modo con cui stava con gli altri, quello a cui dava importanza, quello che insegnava. È Lui che ci spiega quello che conta e quello che non conta, quello che ci dà la gioia o ce la leva. È Lui che ci dà lo Spirito Santo che illumina la strada e ci porta al Padre. È Lui che ci fa entrare nella dimensione nuova del Regno di Dio, che ci fa stare bene in questa vita, ma che ci fa diventare anche fortunati cittadini del cielo per l’eternità.

Primato di Dio Padre.

La coscienza di essere stati creati tutti da un unico Dio, di essere stati pensati e amati prima della creazione del mondo, di essere accuditi da Lui in ogni momento della nostra vita, ci conferma che  veniamo da Lui, apparteniamo a Lui. Il sentimento di appartenere a qualcosa di più grande di noi, a qualcosa da cui siamo stati generati, ci permette di vedere la vita in un modo nuovo e dalla visuale giusta. Ci permette di capirla e di viverla in modo vero e pieno. Ci permette di sentire Dio come Padre vero, Padre originario, Padre primario. Se mettiamo al  primo posto il Padre, tutto il resto acquista un valore diverso, tutto torna al suo posto, tutto può trovare un senso. Al Padre si riferiva sempre Gesù, all’Amore di Lui per noi, fino a darci un’elezione di figli adottivi. Se seguiamo Gesù come modello, arriviamo al Padre chi è la nostra origine e la nostra meta.

 

Modalità operative.

In un progetto educativo è fondamentale individuare le scelte prioritarie operative su cui ruotano tutte le decisioni e poi individuare l’organizzazione.

La centralità della persona.

Al centro di ogni iniziativa o decisione deve esserci il bambino o il ragazzo come persona nella sua interezza. Questo significa che  il cuore dell’oratorio è il bambino con i suoi bisogni, difficoltà, ma anche con le sue capacità di iniziativa e di responsabilità. Al centro quindi non devono esserci  le  idee, le aspettative e i bisogni degli adulti

Il bambino protagonista.

Per poter  e-ducare ( tirar fuori) le potenzialità del bambino è importante impostare l’azione educativa coinvolgendo sempre il bambino nelle scelte. Ogni singola attività, deve sempre essere pensata e organizzata insieme al bambino, con il suo coinvolgimento, con il suo contributo. L’attività precostituita, già impostata, prefabbricata, per quanto bella, interessante, semplice, non sarà mai un’attività del bambino e per il bambino, perché lui non c’è dentro, non è stato considerato capace di pensarla, non c’è come  protagonista, non c’è  il suo pensiero, il suo cuore e la sua anima e quella cosa non è sua.  Si sente solo un esecutore, un oggetto, uno strumento.

i bambini spesso si adattano in modo automatico a tutto ciò che è già preparato e prefabbricato perché sono abituati dalla tv e dai giochi della PlayStation, ma è come se in fondo si sentissero di nuovo rifiutati, negati nella loro capacità di produrre. Far uscire fuori la loro capacità creativa, far sentire quell’attività (anche semplice, anche piccola) sua, venuta da lui, con la sua orma, con il suo spirito, la sua firma, è per lui come averla creata, averla partorita. Per lui è un sentire di essere capace di creare il mondo, sentire che dentro di lui c’è la possibilità di diventare soggetto attivo e protagonista delle cose e quindi anche della sua vita, di se stesso.

Ogni attività educativa ed efficace deve adattarsi all’ io, qui e ora.

       Io.      Significa che l’attività deve essere in sintonia con quel particolare bambino o ragazzo. Ogni bambino è unico, originale e irripetibile, ogni bambino ha una sua storia particolare, un suo modo di sentire specifico. È con lui che bisogna fare i conti, è lui che bisogna ascoltare umilmente prima di decidere.

–        Qui.     Ogni situazione concreta è diversa a seconda del luogo perché ogni luogo è unico originale e irripetibile. In un paese una iniziativa può andare bene, in un altro no. Bisogna quindi adattarla a quel luogo.

–       Ora.     Ogni attività può andar bene in un momento della storia di quel posto e non andar bene in un altro momento. Quindi va pensata ogni volta in modo nuovo per renderla veramente efficace e viva.

 

Il bambino responsabile

Quando si è protagonisti si è anche responsabili. Significa che l’attività che è stata pensata deve essere attuata, concretizzata direttamente da chi la voluta. Direttamente significa che l’animatore non deve fare lui quello che potrebbero fare i ragazzi. In questo modo attiva le risorse che ci sono in loro e li spinge a diventare protagonisti non solo nel pensiero ma anche nell’azione. L’animatore guida i ragazzi a rendere concreto quello che hanno pensato, li abitua a sforzarsi, li incoraggia, li incita, tifa per loro. Non si sostituisce mai a loro,  e fa spazio a quello che deve venire fuori da dentro. Quello che viene fuori non è solo un’attività, è una parte di loro, sono loro stessi che stanno nascendo a se stessi. 

 

Strumenti operativi.

Per favorire questo tipo di azione educativa, è necessario impostare una serie di strumenti che servono per attuarla. Vanno quindi organizzati dei laboratori, almeno tre o quattro. Il laboratorio del gioco, il laboratorio della fantasia (disegno, teatro ) il laboratorio della musica (ballo, canto, musica) il laboratorio del pensiero-studio e il laboratorio della spiritualità.

I laboratori.

Ogni bambino che entra nell’oratorio può scegliere in quale laboratorio entrare, secondo il suo bisogno di quel momento. In ogni laboratorio trova un animatore che lo guida nell’attività. Nessun bambino fa un’attività da solo, ma sempre in relazione con gli altri.

I bambini che entrano in un laboratorio formano un gruppo nuovo che si mette in circolo con le sedie con l’animatore o seduti per terra su un tappeto grande. Insieme decidono il contenuto, i modi, i tempi di quell’attività. Se non sono d’accordo, sta l’animatore trovare il modo di conciliare, ma ancor più di insegnare ai ragazzi a condividere le loro idee, a spiegarle agli altri, ad aprirsi a vedute diverse. Se alla fine non si trova l’accordo, si fa a maggioranza e il gruppo deve rispettare l’esito. Dopo si attua quello che si è deciso e i ragazzi fanno  quello che hanno pensato, dal mettere a posto le sedie, alla realizzazione dell’attività. Il momento dell’organizzazione può richiedere mezz’ora o un’ora, non è tempo sprecato, è il momento più importante in cui tutti sono stati al centro della progettazione, protagonisti responsabili, registi, attori, sceneggiatori, critici e spettatori.

L’animatore.

L’animatore quindi ha la funzione di favorire una crescita, di promuovere la nascita di una parte nuova della persona.

È come il giardiniere che dà al fiore la luce, l’acqua e l’aria, ma sa che tutto quello che verrà fuori è già insito nel seme che sta germogliando e sa che tutto quello che cresce ha i suoi tempi, i suoi modi e le sue caratteristiche diverse dagli altri fiori.

L’animatore ha la funzione paterna: guida, incoraggia, spinge a fare da soli, a buttarsi, a credere in se, ad essere autonomi. Ma ha anche la  funzione materna di sostenere, di nutrire, di consolare, di contenere. Contenere è una funzione educativa indispensabile che significa con-tenere, tenere dentro, le ansie, le paure, le angosce, l’istinto, la aggressività. Significa com-prendere le angosce, cercare di capirle, cercare le cause insieme al bambino. Ma significa anche tenerle dentro un confine, dentro dei limiti. Significa quindi anche autorevolezza, far sentire ai ragazzi che chi sta davanti al loro non è un servo, non è uno che assiste impotente, non è un oggetto, ma è un soggetto autorevole, è una guida sapiente, è un condottiero che sa farsi capire e non ha paura. E’ uno che crede veramente in loro e nella loro capacità di darsi un limite, una regola, di diventare responsabili e che, da bravo condottiero, la cerca insieme a loro. Le regole  dell’attività vanno decise in gruppo e vanno rispettate in modo preciso.

 

1. Laboratorio del gioco.

In questo laboratorio è compreso tutto ciò che ha a che fare con il gioco, dal gioco all’aperto, (campetti) al gioco da tavolo (biliardini, ecc). È fondamentale che i bambini non si buttino sui giochi in modo istintivo, ma programmino insieme all’animatore quello che vogliono fare, con chi, i tempi e i modi. Nessun gioco deve essere fatto da soli e nessuno deve imporre il suo comando sugli altri. Non ci deve essere nessuna forma di sopraffazione sugli altri perché si va contro lo spirito dell’oratorio. L’animatore deve intervenire ogni volta che i bambini fanno prevalere il loro egoismo, gelosia, aggressività sull’altro. Deve intervenire e riportare i comportamenti ai cardini centrali dell’oratorio, per riportare così la persona anche al suo centro.

Se ci sono dei problemi invece di intervenire in modo severo, si possono attivare delle discussioni di gruppo per valutare quel fatto o quell’evento negativo. Pensare insieme, imparare a chiedersi il perché di quel gesto,  imparare a trovare una soluzione a quell’azione, insegna ai ragazzi che l’errore non deve essere solo giudicato, ma com-preso e visto in più angolazioni e alla fine aggiustato insieme. Il gruppo ha un potere curativo impressionante, ma insegna anche che ogni azione negativa deve fare i conti con l’altro, con chi la subisce, ma anche con chi assiste, perché tutti siamo nella stessa barca e tutti facciamo parte della stessa famiglia.

2.  Laboratorio della fantasia.

Il laboratorio della fantasia è necessario per attivare le capacità creative dei ragazzi. Disegnare, dipingere, modellare il das, inventare favole e storie fa uscire fuori le loro potenzialità, ma anche il loro modo di vedere, sentire il mondo, le loro paure, le loro angosce, le tensioni e conflitti. La creatività ha in sé anche la funzione di contenimento dell’angoscia e del conflitto. Il fatto di poterlo tirare fuori, esprimere, rappresentare a se stesso e agli altri, lo fa diventare meno forte e meno pericoloso. In pratica il fatto stesso di dare una forma, un colore, un’esistenza a qualcosa d’invisibile ed inconscio, permette di con-tenerlo, di tenerlo dentro, di poterlo gestire.

3.  Laboratorio della musica.

La musica,  la danza, il canto, hanno una capacità educativa e terapeutica naturale. Educano al ritmo, al dinamismo, al movimento. Il ritmo insegna a darsi dei tempi, degli spazi e la musica educa alla tonalità emotiva. Suonare, cantare e danzare creano unità tra la mente, lo spirito e il corpo, è lo strumento attraverso cui la mente e lo spirito usano il corpo per esprimere emozioni indefinite e profonde. Nello stesso tempo la musica riesce ad entrare attraverso il corpo e ad arrivare allo spirito. Fondamentale in questo laboratorio è l’inventare suoni, canzoni, balli sulla base delle proprie emozioni, sentimenti, difficoltà, suggestioni. L’ideale è esprimerli e viverli per poi riproporli in gruppo. Cantare ballare e suonare insieme in uno spettacolo, permette di esprimere le emozioni di un gruppo,  il modo di sentire dei giovani, per farli conoscere anche ai loro genitori e alla comunità.

4.  Laboratorio per studiare o per pensare. Cineforum.

Sarebbe importante dare uno spazio per lo studio, per chi non ne ha a casa. Poter studiare in modo autonomo non significa ripetizioni o sostegno allo studio. È solo un posto dove qualcuno può dare un aiuto a un altro più piccolo o essere modello per gli altri.

Questo luogo può anche diventare un posto per pensare,  dove poter portare problemi che sono sorti. Un posto dove si può riflettere su quello che è successo, dove si può com-prendere, e trovare insieme una soluzione una risposta. In queste occasioni  si può fare riferimento a Gesù come modello: “che dice Gesù su questo? Che farebbe se fosse qui? Come la penserebbe?”.

Questo laboratorio può diventare anche il posto dove si pensa attraverso le immagini: foto e film. Se si proietta un film è importante discutere insieme, trovare il contenuto, il perché, il significato e la morale.

5.   Laboratorio spirituale.

Questo laboratorio è importante per imparare a conoscere Gesù e il Padre. È un posto dove poter pensare anche alla propria missione nel mondo e nella Chiesa e al servizio che si potrebbe dare alla comunità parrocchiale. Potrebbe essere un posto fisico o anche emotivo. Un sacerdote o un laico deputato alla formazione spirituale potrebbe  essere presente tra i ragazzi perché rappresenta Gesù in modo più forte,  rappresenta il suo Amore per noi e ricorda la finalità spirituale. 

FORMAZIONE DEI GENITORI

Il laboratorio del pensiero potrebbe essere un metodo adatto anche per  la formazione dei genitori dei bambini dell’oratorio. Un posto di riflessione autogestita, dove ci si confronta, si scambiano le esperienze e si trovano delle soluzioni in gruppo. I cineforum possono servire anche a questo.

 

Strumenti concreti. Materiale.

Sarebbe fondamentale dotarsi di:

–          Colori, pennarelli, pennelli, tempera e acquarello, fogli da disegno, pacchetti di Das.

–          tappeto di plastica grande per sedersi per terra.

–          Strumenti per suonare, riproduttori, CD.

–          Materiale di gioco da tavolo del tipo nuovo, Hotel,  Scotland Yard, Cruciverba,  con i quali si può giocare in gruppo da tre a sei persone.

–          Dama, scacchi, dama cinese, cruciverba, quotidiani, giornalini, fumetti.

–          DVD per il cinema.

–          Armadio dove poter riporre tutto il materiale, una volta usato, con serratura.

 

Cartelloni da  attaccare  nelle stanze:  

Cardini     ( Clicca sopra  alla parola e si apre l’immagine in  pdf). 

Laboratori      ( Clicca sopra alla parola e si apre l’immagine in  pdf). 

 

 

 

 

Seguimi

Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso. Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Si voltò e li rimproverò. E si misero in cammino verso un altro villaggio. Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio».  Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio».

 

Gesù ti chiama. Seguilo,  senza se, senza ma, e senza però.

Lo segui, ma se va a Gerusalemme, non ci stai.  Se c’entra la croce, la sofferenza, non ci stai.  Non lo vuoi, non gli apri la porta del tuo cuore, della tua casa.  Non vuoi avere a che fare con il dolore, e così lo allontani, lo eviti, lo metti fuori.  Ma con il dolore hai messo fuori il tuo cuore, e  hai allontanato il Salvatore.

Lo segui, dovunque vada, nella sua dimora. Ma Gesù non ha dimora.  Se lo vuoi seguire, non mettere radici, non fare il nido, non cercare un rifugio, un nascondiglio, una tana.  Non stare seduto, bello, tranquillo, beato, protetto, comodo.  Non adagiare il capo sui cuscini, non dormire tra due cuscini.

Perché se lo vuoi seguire, devi posare il capo solo su di lui, devi basarti su di lui.  Devi andare dove ti porta, dove ti chiama, dove ti aspetta e dove tu non sai. E dove tu non vuoi.

Lo segui, ma prima devi andare a seppellire tuo padre.  Gesù deve aspettare, non è ora. Non è il momento. Te lo ha chiesto nel momento sbagliato.  Prima devi fare altre cose. Altre cose più importanti. Più importanti di lui.

Non  vi è nulla più importante di lui. Tutto quello che non segue lui, diventa inutile, insignificante, senza senso, senza scopo, senza meta, senza vita, morto. Lascia che i morti seppelliscano i morti.  Tu lascia quello che è morto, e rivolgiti al Signore della vita. Vai ad annunciare la vita. Vai ad annunciare a tutti che è venuto il Regno di Dio in terra. Così segui Gesù.

Lo segui, ma prima devi andare a dirlo ai tuoi, devi andare da loro, a riferirlo a loro, a farti dare il consenso, l’approvazione, la benedizione da loro.  Non decidi da solo, sei ancora dipendente, succube, vincolato alla tua famiglia. La tua famiglia è ancora quella della terra. Dio non lo senti come Padre e la tua famiglia non è la famiglia di Dio, non è la famiglia del cielo. Appartieni ancora alla terra.

Gesù ti ha chiamato ad arare il suo campo e tu hai messo mano all’aratro.  Non puoi voltarti indietro, girare l’aratro e rovinare la zolla. Quello è il terreno di Dio, quella è la zolla di Dio, quello è il seme di Dio.

Non appartieni più a te stesso.  Ora appartieni a Dio.

In modo totale, completo, assoluto, eterno.

 

 

 

 

Sposa di Dio

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Dio ti ha sposato, prima di nascere.  Ti ha già fatto sua sposa.  Tu lo senti, che appartieni  già  a un altro.  Che sei già amata, che sei già sposata a un altro.

Se frequenti un uomo, ti sembra di tradire uno sposo.

Sei già in lui.  Vivi in lui, come una sposa, da sempre.  Il tuo ‘si’ è il rendersi conto.  È riconoscerlo.  Essere d’accordo.  È lasciar fare allo Spirito Santo. È lasciarsi portare dallo Spirito Santo.

Quando parli di lui, il tuo cuore sobbalza, trasale, si innalza.  Viene attirato, viene abbracciato, viene amato dal Figlio di Dio.  Non riesce più a stare bene, non riesce più a riposare, non riesce più a respirare, non riesce più ad amare, se non in lui, se non lui.  È stato già rapito, da Dio.

Sei sua. Sei sempre stata sua.  Non puoi essere di nessun altro.  Nessuno può arrivare dove è arrivato lui.

È lui che si è donato a te,  è lui che si è rivelato a te, è lui che si è manifestato a te.  E tu sei rimasta folgorata, abbagliata, colpita, presa,  da lui.  Sei innamorata persa, di lui.

Non  sei più come prima. Tutto non è più come prima.  Sei sua. Solo sua.

Non c’è più spazio,  non c’è più tempo,  non c’è più rimedio.

Lui solo,  è tutto.   Lui solo,  basta.

 

 

 

 

 

Chi dite che io sia?

 Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: «Le folle, chi dicono che io sia?». Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa; altri uno degli antichi profeti che è risorto».  Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio».  Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno. «Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno». Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà».

 

Ti portano via la vita.  Te la prendono a poco a poco. Te la svuotano, te la smontano,  te la spezzano.  Te la riempiono di nero e di grigio. Ti fanno credere che è l’unica vita possibile. Ti fanno credere che è l’unica vita vivibile per stare con gli altri, per non essere rifiutato, isolato, negato dagli altri.  Sei lì a difenderla, a riprenderla,  a ritrovarla.

Se vuoi salvarla, hai solo un modo.  Fondarla, basarla, metterla in Dio, nell’autore della vita. Come Gesù e con Gesù,  prega il Padre.  Entra in relazione prima con il Padre.  Solo allora  puoi riconoscere il Figlio e proclamare:  “Tu sei il Cristo, di Dio!”  L’eletto,  il Messia,  l’inviato di Dio. Il Figlio di Dio.

Ma in Gesù, non cercare una vita banale, comoda, tranquilla, anonima, come prima.  Rinnegare se stessi, significa perdere quella vita di prima, quel modo di pensare la vita. Quella vita solo tua, chiusa, isolata, dominata, prigioniera, spezzata. Quella vita solo degli altri, plagiata, adattata, condizionata, umiliata. Quella vita solo degli idoli, asservita, tradita, perduta. Significa perdere una vita già perduta.

Rinnegare se stessi  significa lasciare la vita di prima, per metterla in Gesù, per fondarla in Gesù. Allora la ritrovi ma in modo nuovo.  Una vita speciale, una vita al cubo. Una vita divina. Una vita in Dio.

Ma per arrivare alla casa del Padre, devi fare la strada del Figlio. Seguirlo sulla sua strada.  Fare come lui. Non è più il momento del dire, è il momento del fare. Ora lo devi proclamare nei fatti.  Fai la volontà del Padre, realizza il suo piano di salvezza.  Prendi la tua croce sulle spalle tutti i giorni,  in lui, con lui e per lui.  Peserà di meno, avrà un senso e una meta.

Segui Gesù e proclama nei fatti di e con i fatti, la verità, la giustizia, l’umiltà, l’amore, l’unità. Il  falso e l’ipocrita,  ti negherà, ti rifiuterà, ti umilierà, ti condannerà. È il segno che sei sulla  strada del Figlio di Dio.  Su quella strada, e solo su quella strada, arriverai alla resurrezione.

In Gesù, con Gesù e per Gesù, risorgerai.  La tua vita risorgerà.  Verrà santificata e glorificata dal Padre, nel Padre.

Per sempre per l’eternità.